Torre Catalani

Edificio storico, Bologna

Torre Catalani


Nascosta tra i vicoli del centro storico si erge Torre Catalani, un edificio di 16 metri costruito nel XIII secolo dall’omonima famiglia di nobili bolognesi. Questa non era la prima torre che i Catalani avevano costruito a Bologna: una di esse era addirittura alta quasi quanto la Torre degli Asinelli, ma solo quella di vicolo dello Spirito Santo è sopravvissuta fino ai nostri giorni.

In stile romanico, Torre Catalani è più bassa e massiccia rispetto ad altre torri cittadine; il motivo è da ricercarsi forse nella sua destinazione d’uso, che prevedeva lo scopo difensivo per i piani inferiori e quello abitativo per i superiori. All’interno di una delle lunette che sovrastano le porte di accesso si trovava un tempo un affresco, oggi quasi completamente scomparso, che raffigurava Papa Celestino V, il fondatore dell’ordine dei Frati Celestini. Nel 1789 la torre venne infatti annessa all’adiacente monastero, oggi trasformato nella sede dell'Archivio di Stato di Bologna.

La leggenda dei Catalani e dei Galluzzi

Poco lontano dalla Torre Catalani si trova un’altra torre, Torre Galluzzi, a cui è legata da una leggenda d’amore e morte simbolo delle lotte intestine tra guelfi e ghibellini che nel XIII secolo infiammavano la città.

La storia narra che un giovane membro dei Catalani, appartenenti alla fazione ghibellina, richiese alla famiglia di innalzare la propria torre così da riuscire ad ammirare Virginia Galluzzi, di fazione guelfa. I due si innamorarono e si sposarono in gran segreto per non incorrere nelle ire delle famiglie rivali, ma ben presto vennero scoperti e costretti a una triste fine: Virginia fu obbligata al suicidio per le sue stesse mani, mentre il suo sposo fu ucciso.

La Divina Commedia e la Torre Catalani

I Catalani sono stati menzionati da Dante Alighieri nella sua Divina Commedia, in particolare nel canto XXIII dell’Inferno dedicato agli ipocriti. Qui Dante colloca Catalano, figlio di Guido Di Donna Ostia e capitano dei bolognesi nella battaglia di Fossalta: il poeta lo punisce rappresentandolo mentre cammina con indosso una pesante cappa di piombo ricoperta d’oro, simbolo del suo peccato in vita, ovvero l’aver mostrato all’esterno ciò che non corrispondeva in realtà al suo pensiero.

Nella Commedia troviamo infine un riferimento anche a Papa Celestino V, che aveva abdicato ai suoi doveri pontifici soltanto pochi mesi dopo la sua elezione. Dante lo definisce “colui che per viltade fece il gran rifiuto”, e lo colloca tra gli ignavi, nel canto III dell’Inferno. Gli ignavi rappresentavano coloro che non si erano mai sbilanciati, e dunque non avevano mai partecipato alla vita politica e sociale dei loro tempi, né nel bene né nel male. Ecco perché il poeta li raffigura mentre inseguono senza speranza una bandiera che si muove così rapidamente da condannarli a non sapere mai che cosa rappresenti.